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Il gallerista modenese che scoprì Basquiat. JMB da New York all’Emilia | Rodrigo d'Erasmo

2024-10-18 15:39

Array( [87500] => Array ( [author_name] => Donato Zoppo [author_description] => (Salerno, 1975) scrive per i magazine «audioreview» e «Jam», dal 2006 al 2023 ha condotto il radio show Rock City Nights, dal 2005 dirige l’ufficio stampa Synpress44, con cui si occupa di comunicazione per musica e spettacoli. Ha scritto su Beatles, Lucio Battisti, pfm e tanti altri, diventando uno dei saggisti musicali più stimati in Italia. Per Compagnia editoriale Aliberti ha pubblicato "Lucio Battisti. Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale" (2023) e "CSI. È stato un tempo il mondo" (2024). [slug] => donato-zoppo )) no author 87262

Il gallerista modenese che scoprì Basquiat. JMB da New York all’Emilia | Rodrigo d'Erasmo

Basquiat è senza dubbio uno degli artisti contemporanei più iconici, affascinanti, controversi, sexy.


Prefazione a Basquiat 


Basquiat è senza dubbio uno degli artisti contemporanei più iconici, affascinanti, controversi, sexy. Amatissimo in vita ma soprattutto fonte di enorme ispirazione e quasi venerato post mortem da intere generazioni di pittori, artisti visivi, street artist, performer, attori e musicisti. Credo perché la sua poetica, la sua comunicazione sia stata e resta totale, libera, trasversale, priva di steccati di genere e di barricate umane, politiche o stilistiche. Per me era semplicemente provocazione pura. Est(etica) del sé artistico, aderenza assoluta della cultura personale, del suo DNA, del vissuto e dell’esperienza con le proprie capacità tecnico-espressive e il desiderio di comunicare, di raccontare, di suscitare emozioni spesso estreme. Un cocktail straordinario di esotismo e cruda realtà metropolitana. La quintessenza di un’inconsapevole quanto straordinaria attitudine rock’n’roll in uno spaesato teenager haitiano/americano, per sua sorte nato e cresciuto in una scena newyorkese brulicante di stimoli, libertà, talenti ma, per sua e poi nostra sfortuna, anche di eccessi e di droghe. 


Mi ha sempre affascinato il suo rapporto umano e artistico con Warhol, come una sorta di emblema del vero sogno americano che azzera le differenze di classe, provenienza, età, sesso e sessualità sotto un’unica grande bandiera: quella del talento puro. Almeno a NY, e certamente in quegli anni, tutto sembrava fosse davvero possibile. A partire dagli inizi, dal ragazzino adorante che con una sorta di incosciente supponenza tenta (per poi riuscirci) di vendere le proprie cartoline in un bar al già riconosciuto collega, fino ad arrivare alle loro collaborazioni/battles pittoriche culminate nel ciclo di opere a quattro mani (e poi sei con Francesco Clemente). 


Una parabola fulminea, ma senza dubbio un lampo troppo luminoso per passare inosservato o tanto meno venire dimenticato. Ho sempre sognato quella scena provando a immaginare quanto potesse essere stato eccitante vivere quella New York di metà, fine anni Settanta e primi anni Ottanta, la città del Club ’57 e del cbgb’s, di Warhol e Lou Reed, di Patti Smith e di Basquiat, di Keith Haring e dei Suicide. E proprio in questi giorni, in cui sotto i colpi della pandemia anche un simbolo come il mitico Club ’57 di NY chiude i battenti, mi piace ricordare e ringraziare ancora l’estro, il genio, la follia e la spericolatezza ma soprattutto la freschezza e la gioia di essere un uomo e un artista libero di questo straordinario personaggio che risponde all’altrettanto affascinante e predestinato nome di Jean-Michel Basquiat. Il romanzo parte proprio dalla New York del 1981, dove il gallerista Emilio Mazzoli vede le opere di JMB, allora conosciuto come samo, alla mostra “New York/New Wave” e lo invita per la prima personale in Europa, in Italia. 


Il racconto inedito delle giornate a Modena tra pomeriggi a dipingere con la musica a tutto volume, serate nei club e iconiche coroncine lasciate sui muri della città arriva dalla storia famigliare dell’autrice, la cui madre, in quegli anni ventenne, era l’assistente di Mazzoli e diventa amica e – con il ritorno di Basquiat l’anno successivo – modella dell’artista per un enorme ritratto di cui seguiamo le tracce nelle pagine del libro. Vediamo il giovanissimo JMB annoiarsi nella provincia italiana, fregarsene se la prima mostra non viene capita e tornare un anno dopo da star della scena internazionale, senza perdere la capacità di meravigliarsi come un bambino quando scopre che lo studio dove lavora ospita le opere di Mario Schifano e, proprio lì, lo guardiamo realizzare alcune delle sue opere più famose. Un capitolo tutto italiano della storia di JMB che fino a ora nessuno aveva mai potuto osservare così da vicino.


Rodrigo D'Erasmo


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Dorso digitale e cartaceo de «Il Mancino», testata registrata presso il Tribunale di Reggio Emilia 3/2016. 

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